lunedì 13 agosto 2012

Il giorno che verrà

Come sarà quel giorno, come sarò io quel giorno che verrà... e tu dove sarai... sarai lontano o lì, insieme al mio giorno che verrà?
A volte le domande attraversano la mente sostandoci per attimi che sembrano infiniti, ti fan vedere cose che immagini vere e che non saprai forse mai che in quel momento le stai vivendo... o subendo. E se lo sapessi... se sapessi come sarà quel giorno che verrà... cosa vorrei quel giorno?
Vorrei te vicino a me... e te... ed anche te... sì anche te vorrei vicino... vorrei insomma chi anche solo per una volta passandomi vicino mi ha sorriso... di un sorriso vero, sincero non con un sorriso cercato all'ultimo momento in quel cassetto con su scritto -sorrisi di circostanza- cercato in fretta e furia e magari anche sbagliato... per quel mio giorno che verrà.
No, non ti vorrei lì... a dire... poverina... quando solo fino all'altro ieri nemmeno mi vedevi o a malapena mi tolleravi mostrandomi un sorriso che usciva dallo stesso cassetto che hai aperto adesso.
 
No... non ti vorrei falsamente dispiaciuto in quel mio giorno che verrà, con il vuoto dei pensieri e delle emozioni dentro gli occhi, con quell'espressione che riconosco ed ho visto tante volte su tanti volti... che ho allontanato... o comunque ci ho provato a farlo... perché nulla potevo e volevo dare in sentimenti a chi fingeva e nulla aveva da darne a me.
Vorrei vedere dei sorrisi... pochi perché poche saranno le persone che vorrei... vere, sincere, che hanno saputo darmi un'emozione da riempirmi il cuore fino a salire su... su fino all'angolo dell'occhio e poi giù... giù fino a far venire quel magone che strozza la gola... poche... ma tantissime rispetto alle altre che ho conosciuto che nascosti nei pensieri avevano dei cassetti enormi e pieni di -sorrisi di circostanza-.
Ecco... te, te e te ed anche te... voi sapete chi siete come lo so io... ecco, siete voi quelli che non vorrò vicino a me in quel giorno che verrà e se davvero non  vi vedrò... quello sarà il giorno più bello... perché potrò lasciare un grande... enorme sorriso pieno d'affetto solo a chi mi sarà vicino ben sapendo che anche se non sarà stampato sul mio viso... loro lo vedranno sapranno accoglierlo e non andrà sprecato... come i tanti che nel tempo ho dato a voi... almeno in quel mio giorno che verrà... mi regalerete un vero sorriso?... quello di ignorarmi? 

giovedì 2 agosto 2012

Nostalgia di Casa

Ho nostalgia... nostalgia  di casa, del profumo delle pinete, del timo, dell'origano, del profumo dei boschi che in questa stagione si sente forte, del fresco lungo il fiume Frigido dove i ragazzi... e non solo... fanno il bagno nelle fredde acque.
Ci ho fatto un giro un attimo fa, sono partita da Massa, da Santa Lucia, e lungo la via Bassa Tambura ho percorso i sette chilometri che portano a Forno il paesino dove sono nata arrampicato sulle Apuane in una piccola vallata, quasi una spaccatura tra i monti. Oggi vi abitano circa 800 Fornesi ma ha provato a raggiungere quota 2.000 abitanti.


Grazie a Google per qualche tempo ho rivisto come dalla sella della moto il panorama che ricordo e conosco, ho sentito i sapori e gli odori e mi è venuto il magone. Che voglia di andarci, di starci qualche giorno camminando in mezzo ai boschi su per i monti.
Lungo la strada ho trovato due persone che riempivano le bottiglie d'acqua alla fonte, acqua di sorgente che arriva chissà da dove e che è lì alla portata del viandante dal tempo dei tempi.
La strada si snoda con il Frigido sulla sinistra fino a Canevara poi mi accompagna là in fondo a destra su su fino al bivio per le Guadine, ci vado faccio un giro... peccato, dalle immagini le grandi pozze preparate a puntino in tarda primavera non si vedono, è lì che arrivano anche i turisti a fare il bagno nel pomeriggio assolato dopo la mattina al mare, bagni e tuffi dalla montagna, dai grandi massi marmiferi portati verso valle dalle irruente piene negli anni lontani.

Torno sulla strada maestra e vado su, curva dopo curva ritrovo i riferimenti di sempre, la chiesa di Sant'Anna col la "mano del diavolo" una macchia scura che mia nonna raccontava essere appunto l'impronta della mano del diavolo... chissà poi perché si era appoggiato lì... non ricordo che ce lo abbia mai detto, ci faceva affrettare il passo e da lì diceva... era meglio non passare di sera.
La lapide di marmo che ricorda l'eccidio di 68 persone. No, non è la Sant'Anna di cui anche i libri parlano, ma quel 13 giugno 1944 a Forno anche mia mamma all'ora undicenne rimase in fila tutto il giorno con il resto del paeses ulla via del cimitero in attesa del fatidico... puntate... fuoco che per fortuna loro non arrivò ma 68 di quelle persone furono portate più a valle ed arrivati alla chiesa di Sant'Anna furono trucidate forse perché giunsero notizie dell'arrivo di truppe alleate ed essendo quella l'unica via di fuga i tedeschi, i fascisti non avrebbero avuto scampo.
Brutti ricordi questi anche per me che li ho solo sentiti raccontare.

Ecco il cartello, Forno, e via su su fino alla fine della strada, alla cava di marmo.
Mi fermo mi guardo intorno e... ci lascio il cuore... chiudo Google e cerco di cacciar giù il magone.

lunedì 23 luglio 2012

L'abbiocco e la sorpresa

L' antefatto.
Ieri giornata trista... In programma un giro in moto verso Monza che però è rimasto nei pensieri a causa del tempo non proprio invitante così tra un clik internettiano e l'altro è arrivato come una scure... l'abbiocco... quello tremendo che non lascia scampo. Sei sveglia ed all'improvviso la testa non si regge più e cionfa sul tavolo... ohi che succede? Continui ad essere sveglia ma la testa continua a vivere di vita sua... ciondola di qua e di là, cade in avanti ed all'indietro... una tortura. Ma insisti... e che diamine... sei sveglia!
Alla fine, arrivate le diciotto mi arrendo... gli occhi non ce la fanno più a stare aperti nemmeno con gli stuzzicadenti... mi sdraio cinque minuti poi preparo la cena... mi metto qui sul divano, proprio cinque minuti...
Finalmente rilassata mi addormento.

Una mano delicatamente mi accarezza il braccio, apro gli occhi... ciaooo... sono pronta e pimpante per preparare la cena... peccato che attaccato a quella mano c'è un marito in pigiama che mi augura la buona notte.
Come buona notte, vai già a letto? Aspetta, preparo la cena... ma lui ha già cenato... ed anche digerito... ma che ore sono? Guardo l'orologio... 23,30... ma come... ho dormito cinque minuti...
Vabbhè, davanti all'evidenza che sono stati cinque minuti piuttosto luuuuunghi, dispiaciuta auguro la buona notte.
Ora che faccio... di andare a letto non ne ho voglia, magari mi faccio un caffèlatte e poi ci penso.

Guerra ai vermetti bianchi nella notte in casa di ernesta.

Vado in cucina e camminando sul tappeto davanti al lavandino ho la strana sensazione di camminare sul morbido... porca miseria... Saponetta mi ha fatto la sorpresa della pisciatina dispettosa... cacchio... se ti prendo... accendo la luce ma non c'è bagnato... ma allora cos'è?
Nel guardarmi in giro vedo un piccolo filo bianco che si muove... e che cavolo... perché si muove? Inforco gli occhiali e lo vedo, non è un filo... è un vermetto... anzi... sono tanti!

Alzo il tappetino temendo di vedere i compagni di quei vermetti... ed infatti eccoli lì... mamma mia quanti sono!
Alla sorpresa subentra lo schifo. Armata di scopa e paletta li raccolgo tutti... e mò che ne faccio, dove li butto? Metto il tutto nella carta scottex e scendo... li butterò ai pesci della vasca qua sotto... almeno saranno serviti a qualcosa... dar da mangiare ai bei pescioloni che ci vivono.
Fatta la buona azione rimane da pulire... apro la pattumiera dell'umido dove c'è un mondo in frenetico movimento... e che caspita, ci son solo bucce di anguria e melone e resti di verdure... ah no... c'è pure l'avanzo della pappa dei mici che ieri han fatto i biricchini, ogni tanto lo fanno... questo non mi piace questo non mi va... ecco perché ci sono quegli ospiti schifosi... il caldo, l'umidità e qualche mosca hanno fatto il resto.

Fino ad oggi era andata bene, nonostante il gra caldo non era ancora successo!
Chiudo il sacchetto e lo porto giù nel bidone. Lavo bene il secchio e passo al pavimento. Spazzo e lavo attentamente... i gatti mi guardano curiosi e probabilmente si domandano perché io abbia deciso di pulire casa a mezzanotte... che son strana ormai lo sanno da tempo ma ancora, a volte, si stupiscono di quanto lo sia.
Finito l'antipatico lavoro di pulizia mi preparo il caffèlatte, ci vorrebbe un dolcetto ma non ce l'ho... mi accontento di due fette biscottate seduta davanti al pc.
Sono le tre, vado a nanna!
Porto la tazza in cucina e... eccoli di nuovo sul pavimento... azzarola... ho appena pulito! Da dove arrivano ora?
Li seguo con lo sguardo e vedo che escono da sotto la pattumiera del secco e delle lattine... ma nooo... è impossibile, quelle le lavo prima di buttarle via... ed invece no... qualcuna è sfuggita alla lavatura perché alzando il coperchio qualcuno sta banchettando...
Ricomincio tutto da capo... spazza, lava, porta via le lattine, dà da mangiare ai pesci, lava i secchi... son le quattro e mezza quando mi infilo sotto le lenzuola.

La notte dei vermi è terminata... almeno lo spero!

Così è stato, questa mattina è un altro giorno e dei bianchi vermetti nemmeno l'ombra... infatti quelli che trovo sul pavimento del soggiorno e della cucina, pochi per fortuna, farebbero la gioia dei pescatori tanto sono cicciotti... ! 
La giornata riprende... armata di scopa paletta e spazzolone ed anche per oggi il ristorante casa ernesta servirà bianchi vermetti cicciosi ai pesci della vasca sotto le mura.
Penso che oggi sarò perseguitata dalla fobia dei vermetti... Speriamo solo sia finita!

domenica 17 giugno 2012

Le facce della violenza

Il telefono squillava con insistenza ma Susanna non se la sentiva di rispondere, aveva bisogno di stare un po' da sola. Era stata una settimana pesante per il fisico e soprattutto per lo spirito.
Seduta davanti al computer sfogliava fotografie in bianco e nero, in quelle foto era giovanissima e spensierata. Immagini di giochi viaggi emozioni, i compagni di scuola e della giovinezza... chissà che fine avevano fatto? Persi di vista col passare degli anni le vicissitudini e le scelte di ognuno. Alcuni rimasti al paese dove li ritrovava quando andava a trovare gli anziani genitori. Un caffè quattro chiacchiere, pochi avevano realizzato i loro sogni nel lavoro ed erano insoddisfatti, altri con una separazione alle spalle si barcamenavano tra alti e bassi, altri ancora felicemente sposati da tanti anni e con figli ormai laureati.
Quelle parole... felicemente sposati... la riportano alla realtà.
Quante volte le ha ripetute con convinzione quasi ad irritare chi la ascoltava che quasi non credevano ai suoi racconti di una famiglia unita e collaborativa... come è possibile che non litighiate mai, le chiedevano... e lei a spiegare delle decisioni prese insieme a Simone su ogni cosa, dalle vacanze programmate al mare o in montagna a cosa comperare a Isabella, la loro unica figlia, fin dalla nascita o della scuola da farle frequentare.

Oggi Isabella ha una sua famiglia, è ingegnere navale, un indirizzo spinto da Simone che non la conviceva ma Isabella lo ha aveva accettato con entusiasmo anche se le aveva creato non pochi problemi. Primo tra tutti l'allontanarsi da casa, per lei nata tra le Dolomiti vivere a Genova non era stato facile. Quante proccupazioni quante ansie per quella ragazza così lontana... ma si era applicata con costanza conseguendo la laurea e trovando subito un buon lavoro. Poi la conoscenza di Franco, commercialista, il matrimonio la rinuncia al lavoro per stare vicino a lui in ufficio, il trasferimento a Potenza, la delusione di non avere figli...
Quante volte Susanna le aveva detto di non rinunciare ai suoi sogni al suo lavoro ma lei non l'aveva ascoltata sicura che fosse la scelta giusta ed ora stava male si sentiva chiusa in una boccia di vetro da dove guardava il mondo che andava avanti.
Una sensazione che Susanna non credva di conoscere fino a sei anni prima, quando per caso dal parrucchiere incontrò Michela con la quale si instaurò una bella amicizia.

Michela era una insegnante in pensione, si trovarono subito in sintonia. Era una donna libera nel pensiero... parlava di giochi, maglia, bricolage e libri letti allo stesso modo di come con serietà affrontava discorsi sulla politica o sulla vita, aveva mille interessi Michela e questo la affascinava.
Con lei Susanna per la prima volta in vita sua aveva iniziato a parlare di sé di cosa le piaceva di cosa avrebbe voluto fare... E perché non lo fai?
Quella domanda fatta così a bruciapelo la lasciò senza parole. Cosa poteva rispondere? Cosa dire?
Non aveva mai fatto nulla senza parlarne con Simone.

I mesi dopo quella domanda la portarono a rivedere e riascoltare gli anni, le decisioni prese con lui... ma davvero erano state prese insieme? Davvero lei aveva contribuito a quelle scelte... o le aveva subite...
Il mondo le crollò addosso quando si trovò ad ascoltare la risposta che uscì dalle sue labbra senza rendersene conto... No non ero d'accordo!
Furono giorni molto pesanti quelli che visse dopo. Evitò di incontrare ancora Michela ed iniziò a fare caso ai momenti decisionali che si presentarono, a dire la sua, iniziò a parlare un po' del suo lavoro in ufficio, dei problemi che questo le creava e vide un Simone diverso, un Simone che si irritava... che la trattava male dicendole che non poteva capire quello che lui stava dicendo... che non ne era all'altezza... di continare a fare il suo lavoro in casa... di smetterla di parlare del suo lavoro che era una "stupidata" che anche una ragazzina avrebbe potuto farlo.
Non era più l'uomo che conosceva da trent'anni anni
Susanna era responsabile di un ufficio all'Agenzia delle entrate... non era una cosa da poco, aveva molte responsabilità, personale da gestire ed organizzare, pratiche da controllare... no non era una stupidata.
Aveva studiato, si era laureata in lettere, avrebbe voluto fare la giornalista ma Simone disse che era meglio accettare quel lavoro che sarebbe stato un posto sicuro per la famiglia... e lei "decise" che era la scelta giusta.
Quante scelte giuste aveva fatto Susanna decise da Simone?
Tante, troppe!
Chiamò Michela e si incontrarono, a cuore aperto le raccontò delle sue riflessioni, le raccontò del disagio che stava vivendo. Michela la ascoltò con attenzione, in silenzio, interessata alle sue parole alle sue lacrime.
Si ritrovò ad abbracciarla singhiozzando sfogando con lei tutto il suo dolore, la sua delusione per una vita che credeva felice fino ad un anno prima.
Si guardarono alla fine negli occhi, in silenzio... un silenzio carico di comprensione, bevvero un caffè e si lasciarono come se avessero parlato per giorni, come se si fossero dette e compreso tutto.
Tornò a casa rassicurata da quelle due ore, raccolse tutta la sua forza interiore ed attese Simone preparando la cena con uno spirito diverso con una coscienza di sé che aveva lasciato in fondo alla vita tanti anni prima.
Quando Simone arrivò cenarono in silenzio, sparecchiò la tavola, lavò i piatti e poi affrontò il discorso.
Ci fu molta tensione quella sera, Simone diede la colpa di tutto a Michela ma Susanna con molta calma e serenità d'animo si alzò dicendo che la colpa era unicamente sua perché per troppi anni lo aveva lasciato decidere anche per lei. Come quelle volte in cui lei sceglieva le scarpe ma era lui che decideva quali dovesse comperare, o sulle vacanze, quando lei avrebbe preferito il mare ma si andava in montagna perché lui raccoglieva funghi mentre lei rimaneva in albergo a riposare... ma lei non voleva riposare, lei avrebbe voluto vivere!
Parlarono a lungo... parlò a lungo e gli disse tutto quello che aveva nel cuore ed alla fine gli chiese se voleva "ricominciare", ricominciare con una Susanna ed un Simone nuovi... non da subito certo, con il tempo... quello necessario a lui per capire per comprendere ciò che lei aveva compreso.
Simone non rispose, si alzò ed andò a dormire. Per la prima volta Susanna dormì sul divano.

Passarono i giorni nel silenzio, vissero quasi da estranei per un paio di settimane infine arrivò la risposta di Simone... No non potevano andare avanti... lei non era più la Susanna con cui aveva vissuto.
Soffrì per quella risposta ma era decisa... voleva far vivere Susanna! Gli disse che il giorno dopo non l'avrebbe trovata a casa che si sarebbe trasferita a casa dei genitori in attesa di trovare una casa sua.
Andarono a dormire e fu Simone a dormire sul divano.
Al risveglio Susanna preparò le valige e partì.

Il telefono squillò di nuovo... era Michela che le chiedeva se poteva andare in associazione... una donna aveva bisogno di parlare con lei, la rassicurò sul suo arrivo e riattaccò.
Si cambiò e velocemente raggiunse l'associazione... Donne Insieme... dove era entrata dopo aver lasciato Simone e la sua vecchia vita lavorando fianco a fianco con altre volontarie e soprattutto a fianco di Michela che scoprì esserne la presidente quel giorno che se ne andò di casa.
Michela aveva riconosciuto fin da subito la violenza che stava subendo Susanna ma non le disse nulla l'aveva ascoltata... ascoltata molto e per diverso tempo ed aveva fatto solo una domanda... il resto lo aveva fatto lei, guardandosi dentro e facendosi da sola tutte le altre domande.
Lei ce l'aveva fatta tutta da sola ma la donna che aveva ora davanti stava chiedendo disperatamente aiuto, non aveva lividi... non ne aveva di visibili sul corpo... ma erano indelebili quelli che aveva nell'animo e l'associazione era lì per questo... per aiutare con l'ascolto silenzioso tutte le Susanna che bussavano a quella porta e con l'aiuto concreto quelle che da sole non ce la facevano.
Susanna aveva imparato a sue spese che i lividi che non si vedono sono dolorosi quanto quelli che tante donne nascondono con il trucco e con le scuse di spigoli e cadute inopportune... aveva imparato che la violenza ha tante facce... e tutte dolorose.

lunedì 11 giugno 2012

La faggeta sulle Apuane

Caterina stava rannicchiata sulla sua poltroncina di vimini all'ombra del grande castagno del bisnonno, ogni tanto alzava gli occhi dal libro e guardava lontano, si perdeva in quel paesaggio fatto di montagne grandi alberi e squarci bianchi come la neve. I suoi monti come li chiamava lei, le Apuane per tutti gli altri.
Era partita da lì tanti anni prima, era una bambina ma appena s'è presentata l'occasione ha fatto di tutto per tornare alla vecchia casetta dei nonni, la casetta dove era nata, dove aveva mosso i primi passi tra quelle rocce in mezzo ai boschi di lecci faggi e castagni. Ci andava con la nonna che le raccontava di folletti nascosti tra le radici delle grandi piante indicandoglieli... ecco lo vedi, guarda è lì... vicino a quel rametto... ma i folletti dovevano essere veloci per quanto fossero piccoli perché lei non aveva mai fatto in tempo a vederne uno e la nonna rideva di quel suo broncio dispiaciuto... sarà per la prossima volta, ancora non ti conoscono e si nascondono.
Gli anni erano passati, a volte veloci a volte interminabili tra gioie e dolori come per tutti.
Caterina avrebbe tanto voluto tornarci a vivere con il suo Luca che aveva imparato ad amare quei luoghi quando venivano a trovare i nonni e si fermavano un po' di giorni. Quante passeggiate fatte mano nella mano alla ricerca di castagne o frutti di sorbo, trovavano anche i funghi ma non piacevano a nessuno dei due e si limitavano a guardarne la bellezza ed i colori e poi, i bagni nel torrente insieme agli amici... quanti ricordi solo a guardare quei monti.
All'improvviso sente una vocina che la chiama, non capisce da dove venga... chi può mai essere arrivato fin quassù. Caterinaaa Caterinaaa vieni a prendermi che da solo non ce la faccio. Si guarda intorno ma non vede nessuno... che strani scherzi fa il vento, probabilmente sono ragazzi che giocano laggiù più a valle... Caterinaaa... ma no... stanno proprio chiamando lei.
Si alza pigramente e si guarda intorno... non c'è nessuno. Ride di sé e torna al suo libro ed alla comoda poltroncina.
Il libro la riassorbe, le piacciono i racconti di Liala che le fanno vivere atmosesfere d'altri tempi.
Ma ecco di nuovo la vocina... Caterina sono qui... ora mi vedi? Caterina si stropiccia gli occhi e guarda in direzione della vocina e... lo vede... Oh! mi hai visto finalmente, non ti ricordi di me? Ma... veramente... non ricordo. Come puoi non ricordarti di me, mi hai incontrato tante volte con la nonna quando passeggiavi nella faggeta, eravamo piccoli tutti e due. Caterina cerca di ricordare ma proprio non ce la fa e mentre lo guarda cercando nei suoi ricordi di bambina si accorge che qualcun altro è lì con loro... Luca... che ci fai qui? quando sei arrivato, non ti ho sentito e mentre parla gli butta le braccia al collo riempiendolo di baci. Luca, il suo Luca, finalmente lo poteva toccare dopo tanti anni di sogni. Luca, tesoro, non sei cambiato. Nemmeno tu Caterina sei sempre bellissima come quando ti ho lasciata... sono tornato per restare e vivremo qui, insieme, noi tre.
Caterina sentì una squillante risata... abbassò lo sguardo e lo vide... era lì... vicino al suo piede... piccolo e col cappellino rosso come diceva la nonna... era il folletto che non era mai riuscita a vedere ed ora era lì con lei ed il suo Luca.
Era finalmente di nuovo felice Caterina. Aprì gli occhi quando una folata di vento fresco le scompigliò i bianchi capelli guardò i suoi amati monti...sorrise...  richiuse gli occhi e si allontanò verso la faggeta con il suo Luca ed il folletto.

mercoledì 18 gennaio 2012

Cosa cambia?

Senza tempo né pensiero... ecco cosa vorresti essere.
Figlia di un tempo che ha prodotto molto ma quel molto lo ha restituito come spazzatura, ingombrante e maleodorante.
C'era un tempo dove ti entusiasmavi per un non nulla... guarda che belloooo... oggi non ricordi quando lo hai detto l'ultima volta, non ricordi quando hai riso a crepapelle per una battuta o per un fatto che ti è accaduto lasciandoti stremata e più leggera dentro. Cos'è cambiato.
Sei cambiata tu mia cara, è cambiato il mondo. Tutti corrono, quasi senza sapere dove e perché, rincorriamo sogni di altri, fatti nostri solo per non essere soli, per non sentirsi diversi  nell'illusione che ciò ci appagherà... che importa se costruiremo su sabbia pareti di una scatola che crolleranno miseramente solo perché chi se n'è stancato le farà crollare... e noi con loro.
Dove sono i sogni, quei sogni che davano speranza e voglia di andare avanti perché avanti vedevamo un futuro che oggi non c'è... che oggi non riusciamo più a vedere.
Non mi piace questo mondo dove l'io sta davanti a tutto e tutti, dove anche su una scala mobile c'è chi corre per arrivare prima calpestando diritti e doveri morale ed onestà rispetto e amore... dignità... ma per arrivare dove, per raggiungere cosa se poi sarai solo perché in quel momento chi ti circonderà sarà come te e conoscerà solo il suo io?
Ma davvero ne vale la pena?

martedì 17 gennaio 2012

Il bivio


Il tempo passa e molti ricordi sfumano, non è che spariscono sono sempre lì... pronti a tornare, vividi come se quelle immagini le avessi vissute poco prima e poi... poi capita che una mattina, una di quelle noiose con la nebbia fitta fuori dalla finestra e con la testa completamente piena di vuoto ti ritrovi davanti il tuo passato così... per caso e dalle pagine di google.
Arrivasti a vivere nel cremonese parecchi anni fa, uno dei tanti bivi che la vita ci propone ti aveva portata là, in quel paesino di duemila anime dove tutti si conoscevano e dove alla tua prima uscita per comprare il pane il giornale e guardarti un po' intorno per familiarizzare con l'ambiente, incontrasti persone che ti salutavano come se ti conoscessero da tempo, con cordialità ti davano il benvenuto. Eri spiazzata quasi intimorita, non abituata a quella sorta di "invasione" pacifica della tua riservatezza, ricambiasti educatamente i saluti e tornasti al sicuro nella tua casetta. 
Arrivavi da una realtà dove a malapena si conoscevano i vicini di casa dove il buon giorno era un "giorno!" detto a mezza voce e di sfuggita... e, diciamo la verità, per il tuo modo d'essere orso andava anche bene così; realtà dove anche a distanza di una vita eri comunque sempre "una non di lì". Ma in questo paesino era diverso, in questo paesino ti avevano accolta senza conoscerti senza voler sapere prima chi o cosa eri, abitavi lì e questo bastava... forse nel tempo avrebbero voluto saperne di più di te o forse no, ma in quel momento eri tu, eri ciò che in quel momento vedevano e basta.
La padrona di casa che abitava nella grande casa all'inizio del cortile, ti suonava il campanello se al mattino vedeva le tapparelle ancora chiuse dopo una certa ora... "Si sente poco bene? Le serve aiuto?" oppure ti chiamava per darti pomodori insalata e cetrioli o l'occorrente per un bel minestrone appena raccolti nell'orto là davanti .
Tuo marito lavorava a Milano ed usciva presto al mattino tornando solo ad orario di cena. Inizialmente usò la corriera... ti fece effetto risentire quel nome... la corriera... e chi usava più quel termine là da dove venivi... là si chiamava pullman o al massimo "il bus"... Ti piaceva davvero quel paesino che in qualche modo ti ricordava la tua infanzia.
Solo che il tempo del paesino e di quella casetta tanto piccola fuori e grande e spaziosa dentro è passato, lontano nel tempo... ed un altro bivio ti portò a Soncino. 

Ma allora perché ne parli?
Perché questa mattina un ricordo del paesino e della casa è tornato vivido alla mente e davanti agli occhi... la vecchia casetta nel paesino era lì, sulla pagina di una mappa stradale... ma come caspita ci sei arrivata...
la curiosità, sì la curiosità di vedere se la casa, il cortile, l'orto c'erano ancora. L'ultima volta che ci sono passata davanti qualche anno fa era tutto all'abbandono lasciato alle erbacce. In quella immagine sul mio monitor il resto della "casa" è ancora abbandonato, almeno così sembra, ma la casetta su due piani, quella che è stata casa mia no, quella è lì... forse in fase di ristrutturazione... ma come fai a dirlo... lo dico perché io lì ci ho abitato sei anni e posso dirti che la presa d'aria sotto la finestra della cucina non c'era, che l'intonaco era dello stesso colore del resto e che già a quel tempo era tenuto maluccio, che la ringhiera del balcone non è più quella e poi... ohhhhh...
cosa hai visto? quella cosa lì... quella attaccata al muro tra le due finestre... quella lì... sì proprio quella lì... l'ho fatta io con mio marito... era la nostra cassetta della posta che serviva anche per metterci su il filone pane, fatta di legno a misura proprio per il pane che mi facevo portare, un bel filone di pane fresco come quello che da bambina mangiavo a "casa"... a Massa, dove si mangiava il pane più buono del mondo e dove la cioccolata spalmata su quel pane era più buona che dalle altre parti.
Mi sono emozionata sai? Emozionata... e perché? Perché quel paesino ha lasciato molto nel mio cuore e scoprire che qualcuno, dopo tanti anni, ha voluto che quella cassetta di legno senza valore per molti altri rimanesse là al suo posto... non l'ha buttata via... mi fa piacere e dà emozione perché è come se avessi scoperto di aver lasciato a quella casa qualcosa in cambio di sei anni piacevoli e che rivivrei... una cassetta di legno per la posta ed il pane o per tre piccoli vasetti di fiori che auguro porti ai nuovi abitanti anni sereni come lo sono stati i nostri. Quante volte avrei desiderato che un bivio ci riportasse là... ed oggi che in qualche modo ho scoperto che una piccola (ed apprezzata) parte creativa di noi è ancora là... mi sono emozionata.