martedì 10 maggio 2016

Un viaggio immaginario


Giornata strana, voglia di tutto e di niente, di allontanarmi anche da me stessa.
Voglia di stare sola senza pensieri, nemmeno quello di essere in casa.
Se solo avessi ancora una moto, mi sarei vestita di tutto punto e sarei partita... destinazione mare.
Quel mare “di casa mia” che tante volte in passato ho raggiunto in giorni un po' così, uggiosi fuori e dentro.
La preparazione casco guanti e via, con l'unico pensiero di godermi il viaggio forse ancor più dell'arrivo a destinazione.
 
Pioviggina ma chi se ne frega, guidare guardandomi intorno, gustarmi ogni immagine che mi scorre accanto e che come tutto il resto resta indietro. Pochi chilometri e poi l'inizio della Cisa con le sue curve da fare in tranquillità... non avrei voglia di correre, no, questa volta no.
Me le godrei come una danza... giù a destra e a sinistra, dolcemente senza esasperazione, senza la frenesia “da piega” regalandomi il tempo di osservare ciò che mi circonda; le gazze bianche e nere che svolazzano tra faggi castagni e qualche pino.
Sì, oggi è un giorno che mi manca tanto la moto.
Il mio sogno nel cassetto di riaverne una tutta mia da tempo è svanito anche da lì, rimane solo nei miei pensieri e a volte fa male... molto male.
 
Ma ecco che nel mio viaggio ad occhi chiusi, alla mia sinistra cominciano a farsi avanti i miei monti disastrati dalle cave di marmo, ferite aperte a squarciare la bellezza delle verdi Apuane.
Le guardo e mi piange il cuore, il ricordo va a tanti anni fa quando il solo vederle mi commuoveva per la loro bellezza e accoglienza, le sentivo come... un bentornata a casa.
Qualche chilometro ancora ed ecco il mare chi si intravede per brevi tratti sulla destra tra le piante e i tetti delle case.
Esco dall'autostrada e punto in direzione mare che spero di trovare un po' arrabbiato sotto un cielo torvo al punto giusto. Tappa obbligata... un giretto sul pontile per sentire meglio la musica delle onde, il loro profumo salmastro e poi via verso quei sassoni bianchi su cui sedermi a gustare le goccioline salate portate dal vento.
 
 
 
Ma ci saranno ancora? Sono anni che non ci vado.
Dopo profondi e fortificanti respiri riprendo il mio viaggio in solitudine verso le montagne... una mezz'ora e me ne ritrovo circondata.
I canali, con le sue “buche”, dove d'estate si fanno tuffi , deserte in questa stagione e il fiume Frigido che ligio al suo nome fa capire quanto sono fredde le sue acque.
 
Arrivo a Forno, fa freddino, proseguo fino alla Filanda giro la moto e via di nuovo verso Massa.
Passo davanti a casa mia, avrei voglia di entrare, profumarmi di ricordi... quelli vecchi antichi di bambina anche se nella casa così come è oggi sono solo nei miei pensieri.
Mi resta solo di avviarmi verso il punto di partenza del mio viaggio. Ma il ritorno non mi interessa, sarà solo un guidare per tornare con la stanchezza nel cuore.

Soncino, Sunsì... metto la moto nel garage del sogno ma non sto meglio... vorrei fare tutto di nuovo ma per davvero... non solo a parole.

Ps. la mia bassottina aveva la carenatura ruote da 16" e la sella (ovviamente) ribassata ma il colore è lo stesso ^_^



martedì 12 gennaio 2016

Lunapark, la casa degli orrori

Estate Fine anni '60, avevo 16/17 anni e con il “fidanzato”... e la solita ragazza maggiorenne vicina di casa (perché senza il suo accompagnamento non potevo uscire con un ragazzo... altri tempi) andammo al lunapark.
L'autoscontro, il tiro ai barattoli, il calcinculo (la giostra con i seggiolini appesi alle catene), le gabbie, provai anche a vincere qualche cosa piantando chiodi con un grosso martello, la ruota panoramica, l'otto volante, la casa degli specchi una sorta di labirinto dove si entrava da soli ritrovandosi poi con tante altre persone che vagano tra quegli specchi ridendo di gusto e dal quale non mi fu tanto facile uscire... ricordo che mi aiutò il giovane giostraio. Tutti giochi belli divertenti e grandi risate all'aria aperta.
 Rimaneva solo “la casa degli orrori”
Che facciamo? Entriamo?
 
La maggiorenne disse di no perché là dentro si sarebbe spettinata, insistetti per poterci andare io... in fin dei conti dove potevo andare se entrata ed uscita erano obbligate, bastava che mi aspettasse alla fine del giro.
Acconsentì e così mano nella mano entrai con lui.
Il percorso era accidentato, si camminava su superfici morbide che si muovevano, oggetti che facevano il solletico alle gambe, luci che debolmente si accendevano illuminando scheletri ed assassini insanguinati, sbuffi d'aria che ti alitavano sul viso, fili che al contatto della pelle sembravano ragnatele, pozze d'acqua che non c'erano.
Ammetto, avevo paura e stringevo la sua mano senza mai mollarla, quanti urli... volevo uscire ma non era possibile... avrei dovuto arrivare fino in fondo a quel tunnel che non finiva mai.
 
Ad un certo punto qualcosa mi toccò, qualcosa di morbido, caldo, cercai di togliermelo di dosso... erano mani... mani vere che frugavano il mio corpo, urlavo tenendo per mano il mio ragazzo che inizialmente rideva della mia paura e non capiva, era molto buio, aumentammo l'andatura ma il pavimento era instabile e caddi diverse volte, mi aiutò a rialzarmi ma quelle mani le avevo sempre addosso... ovunque.
 
Divincolandomi lasciai la sua mano e dopo un tempo interminabile finalmente fui fuori lasciandolo indietro.
Arrivò subito dietro a me e mi disse che anche lui aveva “sentito” qualcosa ma mentre scappavo si accese qualche luce e non c'era nessuno.
Non potevo essermi sbagliata, quelle mani più volte allontanate erano vere, non erano effetti “speciali”.
Inutile dire che non sono mai più entrata in una casa dell'orrore, se non quelle dove si stava seduti su carrelli.
Vi dirò... un dubbio mi passò per la testa... poteva essere stato il mio ragazzo?
Ma se una mano teneva la mia, nella fase più convulsa l'altra era intorno alle mie spalle... quante mani aveva sto' ragazzo e che non ho mai visto nei tanti anni seguenti?
 
Perché parlo di questa storia? Perché i fatti di Colonia me l'hanno ricordata. 
Una grande differenza, nemmeno paragonabile lo so... lì non era un tunnel buio, lì erano all'aperto... sicuramente in compagnia di amiche, amici e gente conosciuta ma anche sconosciuta... che non ha fatto nulla?
Le cronache dei giornali non ne parlano ma... possibile che erano tutte donne da sole a festeggiare il capodanno? Possibile che nessuno tra amiche, amici e tutti gli altri che non fossero i molestatori sia intervenuto?
 
Che rabbia l'informazione a “un pezzo e un boccone”...