venerdì 20 novembre 2015

Un treno per chissà dove

 
Vorrei partire col primo treno per chissà dove, per unico bagaglio me stessa e quattro lire.
Guardare attraverso il finestrino lo scorrere di mari monti boschi e pianure, il buio di lunghe gallerie, sole pioggia giorni e notti... lasciando indietro piano piano ogni pensiero di persona conosciuta, passata presente vicina o lontana.

Ed una volta giunta a destinazione riguardare, senza ricordi, tutta la vita proiettata su uno schermo.
Osservarne gioie e dolori, pianti e risate, vittorie e sconfitte, gratificazioni e delusioni, amori ed odî. Vedere per la prima volta persone già conosciute e cercare di capire ciò che oggi non capisco, non ho mai capito.
Cercando di comprendere quando il cuore ha consigliato male in danno della ragione e viceversa, provocando sofferenze o fragili gioie a me stessa e ad altri.

Ed al fine di questo viaggio riprendere il treno ben conoscendone la destinazione... oggi, adesso con tutto ciò che ho lasciato, così com'era prima di salire su quel treno per chissà dove ma con la strana ed inconsapevole ricchezza di chi ha imparato.
Non per cambiare ciò che è stato, chiedere scusa o farmi valere, mai lo vorrei fare... e poi chi potrebbe capire... ma per essere migliore nel bene e nel male, nel dare cuore o mente, abbracci o schiaffi... da domani. 

« Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »